Nella giornata dedicata ai contenuti degli NC Awards Festival, il talk “Quando la storia influenza e lascia il segno nella comunicazione” ha sollevato un dibattito di grandeinteresse e attualità.
Da sempre, infatti, gli avvenimenti storici di grande rilievo influiscono non solo sull’economia mondiale, ma anche sulla comunicazione. Basti pensare all’11 settembre, alla grande recessione del 2008, alla pandemia, alla guerra in Ucraina…
Come è possibile per le aziende scegliere i giusti toni per comunicare in momenti difficili senza sembrare fuori luogo e solo attente al business? Come è cambiato nel tempo l’approccio dei media alle crisi? E come invece è cambiato quello del pubblico con la comunicazione in tempo di crisi? Cosa comporta la diffusione dilagante delle fake news?
Moderati da Salvatore Sagone, presidente ADC Group, hanno parlato Fabrizio Paschina, Executive Director Comunicazione & Immagine Intesa Sanpaolo; Diego Lifonti, Fondatore di The Story Group e Amministratore delegato Lifonti &Company; Stefania Siani, Ceo e Cco Serviceplan Italia e presidente ADCI Art Directors Club Italiano; Carlotta Ventura, Chief Communications, Sustainability and Regional Affairs Officer a2a (nella foto).
“Il cuore del problema è che, quando si verifica un evento inaspettato e solitamente tragico, si crea un forte disequilibrio di contenuti. Con questo non intendo dire che non si debba dare la giusta rilevanza agli accadimenti mondiali, ma dedicare, ad esempio, 20 pagine alla pandemia o alla guerra in Ucraina riduce la possibilità di creare comunicazioni a tutto tondo su tanti altri temi che non vanno trascurati”, spiega Paschina (Intesa Sanpaolo).
“In questo periodo storico abbiamo vissuto due fatti tremendi che hanno monopolizzato la comunicazione, la pandemia e la guerra. Per quanto riguarda la relazione con il consumatore, credo che la pandemia sia stata davvero una palestra straordinaria per tutte le aziende, perché ha dato un’accelerata incredibile al digitale e al rilevamento ‘real time’ di ciò che succede. Pensate che noi, ogni settimana, produciamo un’analisi dello scenario mondiale, per avere il polso della situazione. E il rapporto con il target cambia, perché oggi i consumatori vogliono trasparenza in termini di informazione e di linguaggio. L’anno scorso, ad esempio, l’Estetista Cinica ci ha citati per un problema che non riusciva a risolvere ed è stato un momento di crisi. L’abbiamo contattata subito, abbiamo instaurato un buon colloquio e si è anche costruita una relazione. Sono gli stessi consumatori, a volte, a fornirci nuovi spunti per il racconto del brand. Sempre in pandemia, abbiamo lanciato il nostro canale podcast a maggio 2020 per colmare la distanza fisica con il target e a oggi siamo a oltre 7 milioni di ascoltatori. Il digitale, sicuramente, ci dà la possibilità di conoscere meglio il pubblico e capire cosa si aspetta”.
Quale approccio devono avere le aziende per non essere distoniche rispetto alla realtà che la gente vive quotidianamente?
Lifonti (The Story Group) ha preso alla lettera il focus sulla storia per far comprendere come sia cambiato, negli anni, il concetto di verità. “Vi ricordate che nel 1974 un signore chiamato Richard Nixon si è dovuto dimettere per lo scandalo Watergate sulle fake news? Qualche anno dopo, Bill Clinton disse una mezza menzogna nello scandalo Lewinsky. Infine, quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti e si è vantato di aver avuto molte celebrities alla sua inaugurazione rispetto a quella di Obama anni prima, è emerso chiaramente che fosse una fake news bella e buona. Ma, la dichiarazione del suo ufficio stampa è stata: “Ha detto una verità… alternativa!”. E di certo non si è dimesso. Questo per dire che il concetto di verità è cambiato molto, così come oggi cambia il ruolo delle persone, tutte possono mandare on line la propria opinione. Le persone diventano dei micro brand. In tale dinamica, conta l’opinione di chiunque e conta non tanto ciò che è vero o falso, ma il creare delle audience. E questo è il vero motivo per cui invitano ai talk show persone che hanno opinioni discutibili, ma fanno audience. Le fake news ci circondano e sono molto pericolose. Una grande industria mia cliente che produce una materia prima importante, nonostante sia stata ambientalizzata, viene costantemente attaccata. E l’unico modo è contrastare in maniera capillare queste azioni, che oggi non si possono non prendere in considerazione”.
Stefania Siani (Serviceplan Italia) pone l’accento su un’altra questione cruciale. “Veniamo da una lunga crisi che si è poi agganciata alla guerra. Sognamo di tornare a vivere come prima, ma come stiamo? Non bene – soprattutto, secondo alcune issue di mental health – le donne e gli adolescenti che toccano un picco del 55% di depressione per la privazione del futuro. In questo periodo storico, quindi, si rivelano più importanti che maii concetti di sensitive e unsensitive advertising, il tema del testo e del contesto”.
A questo proposito, Siani ha mostrato un filmato virale in cui, durante un break sulla guerra in Ucraina, si vedeva un cowboy twerkare con le immagini dei bombardamenti sullo sfondo.
“Dobbiamo necessariamente ridisegnare il contesto per renderlo sensitive. Ci sono stati, in questo periodo, esempi di cancel culture importanti, come Netflix che ha messo in stop la produzione di ‘Anna Karenina’, eccetera. Quello che vogliamo sottolineare è che in tutti i momenti di crisi a tornare al centro del dibattito è il senso, il purpose. Ed emerge un nuovo trend: l’internal communication e le strategie HR acquistano un’importanza mai avuta prima. La causa? La Yolo economy”. Infatti, alla base di molte scelte di dimissioni e del picco di aperture di partite iva (+50%) per diventare consulenti, vi è lo sbocciare di nuovi principi: equilibrio tra ufficio e casa, retribuzioni, benessere. “Le aziende si ridisegnano per soddisfare le esigenze di un nuovo worklife balance”.
Infine, Carlotta Ventura (a2a) parla di quali cambiamenti profondi stiamo vivendo e come le aziende devono adeguarsi a partire da un libro di cui lei stessa ha scritto un capitolo, ‘Pandexit’. “Per le aziende, le parole chiave sono il passaggio dal volontaristico al doveristico: oggi non conta avere solo responsabilità sociale, ma avere tutti i numeri e comportamenti a posto è una necessità perché i consumatori chiedono purpose e trasparenza. Il senso di ‘Pandexit’ sta in come la pandemia ci abbia costretti a superare il senso dell’effimero che viene da un acquisto compulsivo. Volevamo mettere un punto e dire: si può superare la comunicazione per il consumo fine a se stesso e aiutare le persone ad agire in modo consapevole ed educato. Alcuni eventi come la guerra han fatto sì che si parli meno di temi come il climate change, ad esempio, ma noi questo non lo possiamo permettere come forma di rispetto per le generazioni future. Non ce lo dobbiamo dimenticare, questa è la decade che ci può permettere di avere possibilità di consegnare un pianeta vivibile ai nostri figli. Time is now! Anch’io credo che ci sia uno sbilanciamento nell’agenda setting dei giornali e dei comunicatori e ci si concentri sempre su argomenti principali tralasciando argomenti importanti. Non bisogna guardare solo l’audience. Il tema, oggi, è capire cosa ci serve concretamente per matchare i numeri dei trimestri ma fare in modo di avere anche un futuro sostenibile”.
Chiudiamo l’intervento con un suggerimento, una provocazione che ci è piaciuta molto. Stefania Siani ha fatto notare come, nel settore della comunicazione, i termini per definire il lavoro siano presi a prestito dalla guerra: il target, la mission… Non sarebbe bello cominciare a cambiare con una rivoluzione che parta dal linguaggio?
Serena Roberti